domenica 7 ottobre 2018


Richard Galliano, l’Extraterrestre dell’accordéon


Immaginate di suonare un récital “sans carte”. Quando si va al ristorante si ordina “à la carte”. Immaginate di NON avere una “carte” e di poter ordinare tutto ciò che vi passa per la mente. Ecco, il récital di Richard Galliano, un musicista Extraterrestre venuto da chissà dove, è stato proprio così. L’Artista della Deutsche Grammophon si è presentato al teatro Dimitri di Verscio completamente stipato con la bellezza di due accordéon, di cui una, la sua amata fisarmonica a bottoni che lo accompagna da più di 30 anni sulle scene di tutto il mondo. Galliano attacca il fantasioso récital con una sua stessa composizione, proseguendo poi con una Musette, sua specialità, e procede con un terzo brano di origine brasiliana. Già dopo il primo pezzo c’è un tifo da stadio in sala. Gentilmente, dopo aver suonato i primi tre brani, l’interprete ci introduce brevemente allo stile e alla sua scelta, dato che il "menu" della serata lo cucina su misura del pubblico lui stesso. I bottoni d’ebano e avorio luccicano come stelle di una costellazione solo a lui conosciuta, e suonano solamente per delle dita che creano delle meraviglie musicali. Il suo trasformista accordéon sembra un’orchestra, poi una jazz band, e subito dopo sembra che sia appena entrato un gruppo di madrigalisti Cinquecenteschi, poi un pianoforte solo, una brass band e infine, ecco l’arrivo, metaforico, della pantera rosa. In completa osmosi con il suo strumento, l’idea musicale non fa neanche in tempo a formarsi nella sua mente che è già uscita dallo strumento trasformata in regalo confezionato solo per noi. Galliano suona rigorosamente ad occhi chiusi improvvisando per il 60 per cento  e suonando “par coeur” il restante 40, oltre al fatto di saper fischiettare i temi in modo surreale in un registro sopracuto. La sua capacità di fluire improvvisando e fondere gli stili è pari al suo talento nel “leggere “ il suo pubblico e suonare il programma più adatto al momento. L’altra fisarmonica, con bottoni leggermente più piccoli, viene scelta dall'Artista per i grandi classici dei compositori francesi; bellissima la trascrizione del “Clair de Lune” di Debussy, fluida, essenziale e ad un tempo non troppo lento.Il suo “intervallo di riposo” consiste nel alzarsi in piedi e suonare una melodica che può chiamarsi una fisarmonica a bocca, ossia è necessario soffiare in un tubicino per far sentire i suoni di questa piccola tastiera a bottoni di solo colore bianco. Dopo questa breve “pausa” con un’ispirata improvvisazione, l’Artista poliedrico riprende in mano la sua “Stradivari” e sfida sé stesso, inserendo nella seconda parte del concerto i brani più difficili e virtuosistici. Sembrava che le difficoltà, il virtuosismo e i sopra acuti dell’accordéon potessero espandersi all’infinito. Richard Galliano ci guida nell’oblío più assoluto, nel nulla dello spazio tempo, con una versione di “Oblivion” di Astor Piazzolla dove non c’è bisogno assolutamente di nient' altro che di un accordéon. La sala si fa silente, il respiro del mantice segue il suo corso naturale con una viva attenzione alla direzione musicale della frase, a supporto di una logica che sostiene appieno il sentimento. Il pubblico si perde nei meandri lontani dell’animo dell’Artista che ci fa visitare musicalmente la casa argentina di Astor Piazzolla. Il suono dello strumento è un perfetto riflesso del pensiero e dei sentimenti dell’Artista, che non si fa pregare e dopo un’ora e mezza d’incredibile musica ci concede ancora la bellezza di tre bis, uno dei quali suonato con una minuscola fisarmonichetta (intendo dire della grandezza di un libro tascabile). Il pubblico canta il tema in modo sommesso, mentre lui, quasi sornione, ci accompagna da grande Maestro.  Durante il terzo bis Galliano si alza in piedi e molto lentamente si avvia verso il backstage, un segnale chiaro che dopo un’ora e 45 minuti è ora per tutti di andare a nanna. Applausi per almeno dieci minuti, ma la serata è volata ed è già finita! Sembrava iniziata solo cinque minuti prima!!

L’avrei ascoltato almeno fino all’alba in altri 8 o 9 recital continui, ma mi accontenterò di acquistare qualche sua opera su cd, sperando di poterlo ascoltare live molto presto. Arrivederci Richard Galliano, l’Extraterrestre dell’accordéon. Grazie di cuore per le grandi emozioni della serata. Provvederemo a chiamarLa: #telefono#casa.


sabato 11 agosto 2018

David Dimitri, L'HOMME CIRQUE


L'Homme Cirque, di e con David Dimitri, Verscio, Switzerland




La prima volta che lo vidi era sulla mia testa. No, non in senso metaforico, stava VERAMENTE sopra la mia testa e camminava su un filo. Ero in quel preciso momento al circo Knie, e David Dimitri volteggiava tranquillo sul filo d’acciaio sopra il pubblico. Oggi lo scenario è cambiato, ma a Verscio in questi giorni si può assistere al suo fantasmagorico One-Man-Show. L’Artista ci regala il meglio in un condensato dell’arte circense nelle sue molteplici finezze e sfaccettature, dove la danza permea e ingentilisce ogni singola evoluzione; le musiche, scelte squisitamente, accompagnano l’Homme Cirque, che suona dal vivo anche con virtuosistico talento, in particolare la sua fisarmonica a bottoni. Walzer, tango, polka, pop sono mixati ad hoc, per una collezione musicale che non può deludere nessuno. Ogni gesto, espressione del viso, ogni attrezzo o strumento utilizzato, dal tapis roulant al cavallo di legno, all 'impressionante cannone, per infine vederlo sparire tra le nuvole di Verscio sul filo d’acciaio, è intriso di soffice poeticità, al fine d’incorniciare la  naturale bravura e fantasia del protagonista. Gli spunti comici si sprecano, le persone sono piegate in due dal ridere, e i bimbi partecipano attivamente a tratti accudendo il cavallo, o tentando di centrare il gigante cannone. Lo spettacolo racconta dell’uomo comune che corre, salta, suda, ama, soffre, gioisce, è sparato chissà dove, nell' infinito. Il desiderio primordiale è di volare verso l’alto, di cavalcare i propri sogni correndo verso di loro con incredibili salti mortali in avanti e indietro sul filo d’acciaio. Tutte le emozioni dell’essere umano affiorano comicamente e massicciamente, insinuandosi dolcemente nell' animo di chi osserva. Emblematico il numero sul tapis roulant, che va sempre più veloce….ogni istante della nostra vita conta oro se lo assaporiamo coscientemente. L’Homme Cirque ci porta ad un risveglio della condizione umana, dove anche la più piccola cosa, un cordoncino, un cavallo di legno, un filo di ferro, ci fanno sentire la straordinarietà di questo nostro viaggio sulla Terra. Alla fine, David esce dal tendone da un piccolo “foro” sul tetto e con calma serafica s’incammina verso le nuvole. Fuori è notte fonda, il filo è lievemente illuminato e in lontananza minaccia un temporale con fulmini e saette, ma l’Homme Cirque non si lascia intimorire e parte impavido verso il cielo. E’ l’apice dell’incanto e della meraviglia, dove tutto prende senso alla massima potenza. L’ultimo brano musicale, con un clarinetto melanconico, ci ricorda la fugacità della nostra esistenza. La musica e l’energia del pubblico presente accompagnano la salita solitaria di David Dimitri, che ci ricorda l’immane sforzo quotidiano per restare in equilibrio; tra fantasia e realtà, L’Homme Cirque porta in scena la bellezza della vita, la completa dedizione alla propria arte, il duro lavoro quotidiano, il successo e persino la parodia dell’insuccesso. Magico l’arrivo alla meta in perfetto sincrono con le ultime note del brano musicale. L’Artista scende come una lepre dal pilone per salutare il suo pubblico, che rimane ad applaudirlo anche quando egli rientra nella sua “casa”, la tenda Dimitri. L’Homme Cirque è uno spettacolo che va portato dappertutto, per educare i bimbi alla vera arte.  E’ una storia che vi entrerà nelle vene, senza uscirne più. DA NON MANCARE. GRAZIE, David Dimitri, per regalarci momenti di autentica felicità.
Elena Pressacco

sabato 19 settembre 2015

Scoppiettante concerto d'apertura dei "Concerti del lunedì" con il Duo Albek alla Sala Boccadoro di Montagnola

Inizio scoppiettante dei Concerti del lunedì nella Sala Boccadoro completamente gremita (anche nel corridoio!) con il favoloso Duo Albek: Ambra Albek al violino e alla viola e Fiona Albek al pianoforte. Il programma si è aperto con la famigerata sonata di Schubert "L'Arpeggione" (1824), dove Ambra ha potuto spaziare nell'utilizzo della viola in modo anche non convenzionale, poiché sembrava veramente di ascoltare un reale arpeggione in sala. Questo insolito strumento, poi caduto in disuso e a metà strada tra il violoncello e la chitarra, ha comunque ispirato Franz Schubert a comporre questa stupenda e variegata sonata. I tre accordi iniziali del pianoforte di Fiona, così densi di pathos, hanno dato chiaramente il la alla serata, e non solo in senso figurato, dato che la sonata è, appunto, in la minore. In tre tempi, il movimento iniziale presenta un tema molto romantico, melanconico e intimo che serve da fil rouge nei tre movimenti e che è alternato ad episodi molto rapidi e danzatissimi. Nota da non trascurare: l'inizio è composto da tre semplici note. Nonostante l'Arpeggione abbia una venatura piuttosto mesta ben presente in tutti i tre tempi, il duo Albek riesce a far emergere anche le sfumature  ottimistiche, serene  e poetiche del movimento iniziale. Le musiciste hanno servito l'Arpeggione calibrando bene gli umori variabili dei temi principali e prendendosi tutto il tempo per fare dei distingui chiari tra le varie sezioni della sonata. Quello che lascia di stucco di questo Duo, a prescindere che Fiona e Ambra sono gemelle e parimenti dotate in modo straordinario per la musica, è il fatto che suonano qualsiasi nota con un profondo senso musicale, riuscendo a trasmetterlo agli uditori con stupefacente naturalezza. La noia non esiste in nessun frangente del concerto, e non manca mai niente all'appello, qualsiasi scelta interpretativa esse facciano. Abbiamo avuto modo di apprezzare questo aspetto in particolare nel secondo movimento, dove un tema soave ci trasporta in un'altra dimensione temporale. Il Rondò dell'ultimo tempo (in Maggiore!) lascia l'opportunità ad Ambra di farci apprezzare la serena dolcezza del tema pastorale e di lasciarci trasportare da Fiona, in profonda osmosi armonica con la viola. L'intermezzo in stile ungherese interpretato in modo frizzante, brioso e danzato, contrastava nettamente con il tema tranquillo del raffinatissimo rondò finale: senza forzature alcune, dei semplici accorgimenti di stile ci ricordano che la sonata è stata composta da un grandissimo compositore e termina con un arpeggio della viola, appunto, per restare in tema. Ma la serata era appena iniziata e le sorprese non sono certamente mancate. A seguire, l'imponente, impervia, e appassionante sonata di César Franck. E' chiarissimo a tutti che chiunque possa suonare questa sonata ha le porte aperte di qualsiasi sala da concerto al mondo. La leggenda dice che quando César Franck decise di dedicarla ad Ysaÿe, uno dei più grandi violinisti dell'epoca, gli raccontò una storia sulla stessa, ossia che i quattro tempi erano ispirati alle varie fasi dell'amore romantico: l'innamoramento e la passione (il primo tempo), il litigio  (il secondo tempo), il ripensamento (il terzo tempo), e il gran finale felice, il matrimonio (il quarto tempo). Nella sonata di César Franck il pianoforte è il protagonista della sonata stessa, anche se le melodie che rimangono più impresse nella mente e nell'immaginario collettivo appartengono al violino. Tecnicamente, quello che è richiesto al pianista è  a dir poco incredibile: per alcune tipologie di mani, soprattutto piccole, questa è una sonata quasi impossibile da affrontare poiché l’apertura è quasi sempre in ottava se non di più; ma per nostra grande fortuna Fiona Albek è ben attrezzata al riguardo e la sua lettura ci ha permesso di captare tutte le raffinate e sinuose linee melodiche intersecate a quelle del violino di sua sorella. Nel difficile e rapidissimo secondo movimento, il duo mette in rilievo le sincopi in modo preminente, riuscendo a focalizzare l’attenzione del pubblico sulla tensione emotiva del brano e non sulle difficoltà tecniche, che sono particolarmente elevate in questo frangente della sonata. A partire dalla battuta 202 il duo Albek  inizia a spingere velocemente verso la fine del movimento in modo furioso. Il loro dialogo è per lo più una lotta di forza tra i due strumenti, che rappresentano i due amanti che litigano, e che a rotazione diventano più  aggressivi o meno. La pianista suona ottave vigorose, luminose e  possenti che trascinano l’ascoltatore verso la fine del “litigio”. Il Duo ha reso molto bene l’idea anche nel terzo movimento (Recitativo: il ripensamento) quello più meditativo, dove il sogno che parte da battuta 53 ci riporta ai tempi dell’infanzia perduta, e al disincanto dell'età adulta. Il magico accompagnamento del pianoforte ha trasportato gli ascoltatori nella dimensione dell’onirico, del ricordo e del passato. L’inizio dell’Allegretto finale  è dato da Fiona con il tema sereno della riconciliazione, della serenità finalmente ritrovata. Nessun manierismo, nessun ripensamento a livello ritmico, Ambra la segue nelle intenzioni musicali senza sacrificare alcun segno dinamico. Grande rispetto da parte del Duo per la partitura: l’arco di Ambra è deciso, preciso e arcano come un taglio di diamante, il vibrato riverbera largamente e arriva  al cuore degli ascoltatori in modo diretto ed emozionante. Nel dolce cantabile non c’è nessuna flessione metrica, e l’incanto è mantenuto durante tutto il tempo. La tensione sale in modo esponenziale verso la fine della Sonata, ma il Duo è in grado di tenere il cavallo con le doppie redini lasciandolo correre al galoppo solo alla fine e senza sovrapporre le frasi. Tutto è chiaro, suddiviso coerentemente: le ottave basse del pianoforte di Fiona sono profonde come gli abissi marini dove lo strumento a tastiera sostiene il tema passionale del violino portando la sonata verso la sua naturale conclusione. Il finale in La M è trascinante, coinvolgente, passionale e felice. Una durissima   

Sopra: la magnifica sala Boccadoro a Montagnola (da parte al Museo Hermann Hesse). Sotto: backstage con Ambra (a sinistra), io al centro e Fiona (a destra).


prova di resistenza fisica e mentale la Sonata di Franck, ma il duo Albek ha la capacità di trasformare queste difficoltà in musica pura e di non mancare l’appuntamento con i sentimenti più sinceri. Certamente  le gemelle Albek hanno un knack particolare per la musica romantica, in quanto la loro visione è estremamente passionale, ma nel contempo anche molto limpida e coerente nella struttura. Applausi da stadio e il Duo Albek è pronto per proporci una chicca del compositore italiano contemporaneo Alessandro Lucchetti, scritta esclusivamente per loro: una fantasia-parafrasi per violino e pianoforte ispirata all'opera "I Pagliacci" di Ruggero Leoncavallo. In questo ultimo frangente del concerto escono allo scoperto tutte le carte più fantasiose del Duo Albek, che ci fa viaggiare nel Verismo più autentico utilizzando i propri strumenti come "VERI" strumenti per riprodurre i più svariati stati d'animo. La composizione è  lunga e racconta la triste storia del pagliaccio che uccide sua moglie e il suo amante durante uno spettacolo dal vivo. Delle pagine intense, passionali e veritiere sul bello e il brutto degli esseri umani. Il Duo Albek ha appena registrato un cd dedicato alle parafrasi composte appositamente per loro su temi dell'opera (lo trovate sul loro sito se lo volete acquistare!).

Come bis (sì, c'era anche la classica ciliegina sulla torta!), il mio brano preferito: Berlin, del compositore contemporaneo William Perry, suonato con una viola che avrebbe fatto commuovere chiunque. Grazie di cuore Ragazze, siete semplicemente FAN-TA-STI-CHE!!


sabato 12 settembre 2015

I Wiener Symphoniker con il Maestro Philippe Jordan alle Settimane Musicali di Ascona


Chiesa di San Francesco stipata a Locarno per i Wiener Symphoniker e il direttore svizzero Philippe Jordan. L'orchestra parla da sè dato il suo blasonato curriculum di concerti, tournée e "attrezzatura tecnica e musicale". Il Maestro Jordan, carismatico leader conosciuto ormai in tutto il mondo, ha diretto i suoi Wiener Symphoniker per il pubblico di casa, che certo non si sarebbe aspettato un inizio di serata così tetro e impegnativo dal profilo dell'ascolto. Le Variazioni per orchestra op. 30 di Anton Webern hanno fatto aggrottare non poco le sopracciglia a chi non ama particolarmente la musica atonale. Anton Webern fu un pioniere della seconda scuola di Vienna perché componeva musica su tre semplici concetti  che si concatenavano tra loro: altezza del suono, dinamica e ritmo. Di primo acchito, il brano non ha un gran senso all'orecchio dell'ascoltatore profano, ma analizzando la partitura si comprende con stupore l'enorme coerenza di Webern nell'assemblare gli intervalli dissonanti con gusto e senso del ritmo. Le Variazioni opera 30 sono, tra l'altro, la penultima opera lasciataci in eredità da Webern. Suoni cupi, sordine utilizzate in tutte le varianti, grandissime differenze dinamiche: fff-ppp in pochi centesimi di secondo hanno  aperto in maniera stupefacente questo interessante concerto. I Wiener Symphoniker sobbalzano non poco quando verso la fine dei sette minuti d'esecuzione squilla in chiesa un telefonino a volume altissimo. Ma il maestro Jordan è un abile lettore del suo pubblico e cancella con un sol gesto di bacchetta la tristezza del Webern con la soave e virtuosistica interpretazione della Sinfonia Concertante KV 364 di W. A. Mozart con i solisti Kyoungmin Park alla viola e Nikolai Znajder al violino. La Sinfonia concertante può essere considerata senza ombra di dubbio un esempio di doppio concerto per viola e violino con accompagnamento orchestrale. Nonostante la composizione sia nata grazie allo sviluppo e alla crescente qualità dei singoli musicisti orchestrali dell'epoca, la struttura del brano non concede però grandi virtuosismi ai singoli solisti, ma piuttosto fa trasparire un dialogo più colloquiale tra gli stessi e l'orchestra. La giovane e talentuosa violista Kyoungmin Park comprende alla perfezione questa particolare distinzione interpretando con grande profondità i sentimenti e la concertazione dei Wiener Symphoniker, che tra l'altro vantano solo esperti Konzertmeister nelle prime parti. La Park ha evidentemente svolto una grande ricerca sonora, sia rifacendosi ai suoni e alle forme dell'epoca, sia scegliendo una via interpretativa flessibile, interiore, naturale e spontanea e che potesse rispecchiare la sua gentile personalità, priva di manierismi inutili. Di matrice diversa invece l'approccio solistico del violinsta Nikolai Snajder, che interpretando la sua parte con tempi piuttosto rapidi e un suono molto estroverso e brillante, si è distinto per una scelta molto diversificata dall'orchestra e dalla sua collega violista. In contrapposizione, il Maestro Jordan ha ricordato con grande garbo e gentilezza l'essenza intimista della Sinfonia Concertante, in particolare nel poetico secondo movimento, dove il tappeto sonoro dell'orchestra  trasporta i solisti da un luogo all'altro. Stupendi i soli in perfetto sincrono dei due archi, che finalmente si amalgamano nonostante la grande differenza d'approccio musicale, creando dei momenti di puro incanto. Gioioso, ma in un tempo ragionevolmente comodo il terzo movimento, dove i solisti hanno dialogato amabilmente mettendo il luce le concatenazioni  tra i due strumenti morbidamente. Il pubblico finalmente silente esplode alla fine in un applauso meritatissimo. Pausa di 30 minuti e nella seconda parte, la Settima di Beethoven. Il Maestro Jordan dirige a memoria infilzando letteralmente le note dalla sua bacchetta verso l'orchestra. La sua mimica e gestualità variegate fanno sì che i suoi musicisti capiscano istantaneamente quale tipo di espressione permea la partitura nel qui e ora. Il Maestro inverte la rotta e decide per tempi rapidi, spigliati, che tengono sulle spine gli ascoltatori e rendono tutta la Sinfonia molto più briosa e frizzante. Il secondo movimento ne risente un poco perdendo un filino in pathos, ma il terzo e quarto movimento ne beneficiano grandemente con fortissimi contrasti dinamici, più danzati che solo suonati, e non da ultimo, il continuo e incoraggiante sorriso che il maestro Jordan elargisce ai Wiener Symphoniker ha fatto sì che la Sinfonia trasmettesse al pubblico la pura gioia di suonare e dirigere. Serata da ricordare per la musica ma anche per i  sorrisi smaglianti dei musicisti, e il bis di rito con il raffinato e leggerissimo Scherzo dal "Sogno di una notte di mezza estate" di Felix Mendelssohn-Bartholdy.Nella foto: il maestro Philippe Jordan e i Wiener Symphoniker.



martedì 11 agosto 2015

Fantasmagorico concerto di chiusura del MARTHA Argerich Project 2015

Fantasmagorico concerto di chiusura del Martha Argerich Project 2015.

Innanzitutto desidero ringraziare di cuore la persona che mi ha donato il biglietto per assistere a questo strepitoso evento, che ha riempito completamente il Palazzo dei congressi di Lugano. Ci vuole un grande coraggio per suonare il complicato e arditissimo secondo concerto di Prokofieff, e il pianista armeno Sergej Babayan ha servito la partitura in modo pragmatico, diabolico, con assoluta nitidezza e precisione ritmica, tanto da facilitare il compito all'orchestra nell'accompagnarlo. Il tema iniziale, piuttosto sognante e tonale, serve da fil rouge durante tutto il primo movimento. Babayan ha saputo cogliere non solo l’ironia di questo primo tempo, ma anche la sua vena sarcastica, tipicamente prokofiana, che ha permeato tutta la partitura in modo coerente. Il pianista ha aggiunto un tono di pathos come la classica ciliegina sulla torta al suo suono potente, poderoso, e al limite delle capacità sonore del pianoforte, per poi passare ad un secondo movimento, composto prevalentemente da scale eseguite in rapidissima velocità e che rasentavano la precisione centesimale, colorando il tutto in modo giocoso. Nessuna concessione metrica durante l’esecuzione del terzo movimento, introdotto melodicamente dai timpani in modo massiccio e pesante, dallo spirito cupo, quasi funerario, sebbene permeato a tratti da sprazzi di humor fornito dai finti e velocissimi glissandi del pianoforte. Quarto movimento decisamente più atonale e atletico con salti “da cavalletta” estesi e interrotti da un secondo tema meravigliosamente melanconico che ricordava le melodie desertiche dell’est. Babayan ha chiuso il concerto cercando il limite del suo strumento con decisione, in particolare nella ripresa del tema saltato, sostenuto con verve e precisione puntuali dell'OSI sotto la bacchetta esperta di Jacek Kaspszyk.
Ma come cantava Sinatra, “the best has yet to come…”. Ci si chiedeva, in sala, dopo un inizio così di qualità, come il livello musicale avrebbe ancora potuto salire. La risposta è arrivata poco dopo, con l’esecuzione del meraviglioso e celebre primo concerto di Max Bruch per violino e orchestra, interpretato magistralmente da Renaud Capuçon. Nel primo movimento del concerto Capuçon ricerca l’essenzialità del suono, trovando le sue profonde radici, suonando la melodia con ardore e profondità brucianti, e impugnando il suo arco come se fosse un fioretto. La sua presenza scenica trasuda musicalità da ogni poro, con un tocco di “fierté” e grandeur francesi. Silenzio assoluto in sala già dopo pochi secondi dall'inizio. Il solista ispira l’orchestra, che suona appassionatamente senza la minima esitazione e con grandissima espansione sonora. Nel toccante tema del secondo movimento, la cavata del violinista raggiunge il massimo del romanticismo, lasciando il pubblico con il cuore sospeso per la poeticità di quello che si sta udendo in sala. Terzo movimento arditissimo nella scelta del tempo, molto rapido, ma l’orchestra sostiene il solista che suona con generosità e enfasi crescenti, non tralasciando la precisione d’intonazione, e evitando accuratamente d’ offuscare l’istinto musicale del movimento finale. Nonostante Renaud si prenda qualche licenza ritmica in più (per altro più che perdonabile poiché largamente compensata da una musicalità istintiva e purissima), il finale è vorticoso, avvincente, trascinante e appassionato. Ovazione da stadio e applausi per almeno sette minuti nella speranza di poter ascoltare un bis che non arriva conoscendo le regole del progetto Martha Argerich, ma per nostra fortuna il grandissimo violinista si è simpaticamente intrattenuto nell’ atrio del Palazzo dei congressi con gli ospiti durante la pausa del concerto.
Il pubblico era però già in attesa della grande “Señora della musica” e cittadina onoraria di Lugano, che è apparsa sul palcoscenico in gran forma vestendo una tuta pantalone leopardata bianca-nera, e accompagnata dal suo collega Alexander Gurning. Au programme, il celeberrimo concerto per due pianoforti e orchestra di Francis Poulenc. E’ nota al pubblico l’inclinazione di Madame Argerich per questo visionario concerto, che ha già suonato con altri pianisti. Gurning la segue come un’ombra, e l’assieme solistico risulta omogeneo, facendo risaltare la plasticità e l’elasticità del suono del duo che si fonde armoniosamente. Il furioso tema iniziale dell’ Allegro ma non troppo lascia spazio ad un secondo tema più tranquillo ma inquietante per le modulazioni senza sosta e l‘ambientazione da film horror. La ripresa del primo tema con episodi paurosi e rimembranze spagnole colorate dalle nacchere si mescolano. Ritmicamente purtroppo l’OSI manca alcuni appuntamenti con i solisti ma il tutto è riscattato dagli stessi che suonano senza manierismi ricercando la bellezza e il dialogo in primis. Il tema popolare infantile e jazzato che apre il secondo movimento si evolve in un discorso più ardito e sognante trasportando l’uditore ai tempi dell’infanzia perduta, come in un film in bianco e nero. L’ultimo movimento presenta un tema molto articolato, basato su ribattuti rapidissimi e ritmi di danza, composti a “blocchetti”. I due pianoforti giocano a prendersi e la vena più ironica, giocosa e combattiva si palesa immediatamente per lasciare spazio a un secondo tema più mistico che irrompe a tratti, anche se meno presente. Il primo tema, composto in stile cinematografico, chiude il bellissimo e articolato concerto.
La stupenda serata è terminata con l’atletica esecuzione del virtuosistico secondo concerto per pianoforte e orchestra di Franz Liszt, interpretato dalla sinuosa Khatia Buniatishvili, che, agghindata come una sirena (con tanto di strascico bianco al seguito), ha chiuso questa magnifica edizione con una visione piuttosto tradizionale del concerto lisztiano. Khatia si è lanciata suonando con determinazione e si è lasciata trasportare vivacemente dall’ ispirazione del momento. Sebbene la sua visione del concerto non abbia fornito spunti fantasiosi di rilievo, la sua esecuzione sarà certamente ricordata per la cura dei suoi delicatissimi pianissimi e il fraseggio sempre elastico e trasparente. Applausi finali da brivido e meritatissimi, per coronare la magnificenza di questo progetto Martha Argerich 2015. Nelle foto: Renaud Capuçon e Martha Argerich con Alexander Gurning.